Amore

Amore     
dal latino: A, alfa privativo greco (che nega la parola che segue) + mors che significa morte. Questo viene interpretato come “amore senza fine”, “amore come unica forza in grado di sconfiggere la morte”, o simili concetti.         
A volte, paradossalmente nella vita quotidiana, diventa esattamente il suo “contrario”: ti amo da morire…. a voler indicare che il proprio amore è ancora più grande di un amore che sconfigge la morte e ne accetta la sua supremazia      …
Il punto su cui vorrei posizionare il focus è un’interpretazione credo maggiormente evolutiva:

                                             “tutto ciò che combatte la mortificazione dell’Altro  
                                                          è l’informazione che il cervello         
                                                          incarnato riconosce come amore”    
                                                               (cit. Daniela Lucangeli)

Quando ho ascoltato la P.ssa Lucangeli fare questa asserzione durante una conferenza, ho sentito che finalmente avevo trovato la definizione per questa parola, così difficile e vischiosa AMORE.        
La relazione con l’Altro è sicuramente l’impresa più olimpionica alla quale possiamo decidere di dedicarci in tutto lo scibile dei fatti terreni.  A mio avviso, rientra in questa impresa anche la relazione con i figli. Si. Perché spesso è difficile anche con loro fare un passo indietro, lasciarli liberi di andare dove vogliono esplorare, lasciarli liberi di essere.    
Credo che la trappola sia il bisogno di controllo che si appoggia sulla condizione esistenziale più gettonata del “io sono Ok, tu non sei Ok” (crf. E. Berne) 
Provo a spiegare il mio flusso di pensiero: nasco (come la maggior parte degli esseri umani) in una famiglia poco consapevole delle dinamiche psicologiche e dove vigono delle regole che vanno seguite abbastanza alla lettera (poi ci sono anche casi in cui le regole non esistono proprio, ma il risultato di insicurezza finale non cambia); tendenzialmente ci sono due grandi possibili derive: cresco insicuro perché quello che penso/dico/faccio non va mai bene; cresco con la convinzione di essere una sorta di semidio e poi sarà il mondo esterno a bastonarmi pesantemente.  
Questo conduce inevitabilmente a vivere una ferita narcisistica molto forte (io non vado bene così come sono) che spinge alla tentata soluzione paranoica di convincersi in realtà di essere gli unici ad aver capito come deve funzionare il mondo, come si devono vivere le cose della vita, come e quali regole sono “giuste”.         
Questa ferita narcisistica può influenzare profondamente le relazioni con gli altri. Il desiderio di controllo, derivato dalla paura di non essere abbastanza, può portare a soffocare l’autonomia e la libertà dei propri figli, del proprio compagno/a, impedendo loro di crescere, esistere e di esplorare il mondo in modo autentico.          
              Amare veramente significa lasciare andare, significa accettare che l’Altro sia diverso da noi e che abbia il diritto di essere se stesso. Significa abbracciare la vulnerabilità e la complessità delle relazioni umane, accettando che non sempre siamo nella posizione di potere.           
In questo senso, l’amore diventa un’azione attiva che cerca di proteggere l’integrità e l’autonomia dell’Altro, piuttosto che cercare di imporre i nostri desideri e le nostre paure su di loro. Amare è un atto di coraggio, un atto di fiducia nell’essere umano e nelle sue capacità di crescita e di evoluzione.

Per concludere, penso che l’amore sia il motore principale che guida le nostre relazioni e che, se coltivato con consapevolezza e rispetto, può portare a una crescita personale e relazionale senza fine.

Amare, dunque, significa lottare contro la mortificazione dell’Altro, significa riconoscere e rispettare la sua unicità, permettendogli di essere se stesso senza giudizi o condizioni, godendo del privilegio di potergli essere accanto, di poter essere ispirati dalla sua diversità di sguardo.

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