Genitori imperfetti

quali funzioni?

Quali sono le funzioni genitoriali di cui tanto più spesso si parla? Cosa andrà a valutare, misurare, osservare un professionista nel momento in cui deve rispondere al quesito “questa persona ha capacità genitoriali?”

Fermo restando che ogni essere umano che si ritrovi a scegliere di mettere al mondo un figlio, cercherà sempre (o spesso) di fare del suo meglio, resta il fatto che nessuno ci insegna ad essere genitori e tantomeno nessuno cerca di mettersi in discussione per capire se sta andando verso una buona direzione o meno. Essere genitori è difficilissimo. Essere dei genitori “sani” anche di più.

Ecco perché ho pensato di provare ad offrire degli spunti di riflessione, seguendo le tappe delle sei funzioni genitoriali: Sintonizzarsi, Proteggere, Vedere, Regolare, Aprirsi, Tradurre.

Con questo intento, pubblicherò un articolo a settimana per ogni funzione genitoriale, iniziando con

SINTONIZZARSI   

Sintonizzarsi è la funzione che permette di avvicinare piani genealogici differenti, che rappresenta una sorta di alleanza libera. Prevede la possibilità di mettere da parte le aspettative del genitore sul figlio, allargare lo sguardo e sintonizzarsi sulla persona-figlio così come è e non come lo vuole/desidera vedere il genitore. Nella sintonizzazione ritroviamo anche il valore dei confini, preziosi anche per distinguere la soggettività e stabilirne le peculiarità.

Vedere l’Altro da sé: per poter provare ad entrare nella sintonizzazione e nella reciprocità è necessario andare indietro, voltarsi indietro per conoscerlo (la persona, non “il figlio”) e solo DOPO, andare avanti. Andare indietro significa guardare il figlio dov’è, aiutarlo a mentalizzare ciò che sta accadendo, vivendo nel presente. Infondere la speraza attiva, contenere la sofferenza depressiva che scaturisce inevitabilmente dalla frustrazione dell’incontro Principio di piacere/Principio di realtà.

Sintonizzarsi prevede che ci si possa spogliare dal proprio narcisismo; è lo stesso processo che accade in psicoterapia rispetto al controtransfert ed alla necessità di conoscerlo per poterlo lasciare fuori dalla relazione terapeutica.

Un film che si può guardare per riflettere su questa funzione può essere Lady Bird

Questa pellicola si inscrive su uno spaccato adolescenziale degli inizi degli anni 2000 (il film è del 2003) in cui i social sono ancora silenti e la protagonista sembra quasi un’adolescente boomer, che si trova a vivere la sua adolescenza nel posto più sfigato della California, Sacramento [cit. chiunque parli di edonismo californiano, non ha mai vissuto a Sacramento. Joan Didion]

Lady Bird non è un’adolescente “tragica”, come siamo abituati a vivere e descrivere l’adolescenza oggi. Vive in un contesto “sufficientemente buono”, come direbbe Winnicott: i genitori sono ancora dei buoni contenitori affettivi e funzionali. C’è un conflitto con la figura materna, ma non c’è la catastrofe. Ci troviamo in una situazione di normo-disfunzione.

La sintonizzazione In Lady Bird non avviene tra Kristin e la madre, ma avviene tra la madre e il padre, così la ragazza può interiorizzare la funzione per osservazione e modellamento.

Il valore dei confini atti a distinguere la soggettività e stabilirne le peculiarità, in questo film è particolarmente messo in risalto da Kristin che riconosce il padre dal gesto di bussare prima di entrare nella sua stanza: la mamma non lo fa! (il padre le chiede come ha fatto a sapere che fosse proprio lui quando bussa alla sua porta per entrare)

         In questo tipo di famiglia, troviamo una costellazione in cui il padre è “ci penso io!” e la madre “tu vivi qui e devi capire, partecipare, ai nostri problemi”.   
Forte e chiaro il peso delle aspettative nella scena in cui la madre le dice “io vorrei che tu fossi la migliore versione di te!” e Kristin risponde:

“… e se fosse questa la mia versione migliore, mamma?”

La risposta di Kristin è veramente uno squarcio a ciel sereno: un urlo che chiede di guardarla con i suoi occhi, che chiede di essere vista nel suo personale desiderio e linguaggio.

Volendo costruire una metafora: “se voglio ascoltare radio Montecarlo devo cercare la frequenza corretta e anche quando la dovessi trovare, non devo aspettarmi di ascoltare musica classica”

Sintonizzarsi prevede di abbandonare l’idea di essere portatori di verità assolute, prevede creatività e soprattutto la curiosità di conoscere la persona che ho di fronte, rinunciando alla mia proiezione.

Buona sintonizzazione a tutti.

arrivederci alla prossima funzione (PROTEGGERE)

Amore

Amore     
dal latino: A, alfa privativo greco (che nega la parola che segue) + mors che significa morte. Questo viene interpretato come “amore senza fine”, “amore come unica forza in grado di sconfiggere la morte”, o simili concetti.         
A volte, paradossalmente nella vita quotidiana, diventa esattamente il suo “contrario”: ti amo da morire…. a voler indicare che il proprio amore è ancora più grande di un amore che sconfigge la morte e ne accetta la sua supremazia      …
Il punto su cui vorrei posizionare il focus è un’interpretazione credo maggiormente evolutiva:

                                             “tutto ciò che combatte la mortificazione dell’Altro  
                                                          è l’informazione che il cervello         
                                                          incarnato riconosce come amore”    
                                                               (cit. Daniela Lucangeli)

Quando ho ascoltato la P.ssa Lucangeli fare questa asserzione durante una conferenza, ho sentito che finalmente avevo trovato la definizione per questa parola, così difficile e vischiosa AMORE.        
La relazione con l’Altro è sicuramente l’impresa più olimpionica alla quale possiamo decidere di dedicarci in tutto lo scibile dei fatti terreni.  A mio avviso, rientra in questa impresa anche la relazione con i figli. Si. Perché spesso è difficile anche con loro fare un passo indietro, lasciarli liberi di andare dove vogliono esplorare, lasciarli liberi di essere.    
Credo che la trappola sia il bisogno di controllo che si appoggia sulla condizione esistenziale più gettonata del “io sono Ok, tu non sei Ok” (crf. E. Berne) 
Provo a spiegare il mio flusso di pensiero: nasco (come la maggior parte degli esseri umani) in una famiglia poco consapevole delle dinamiche psicologiche e dove vigono delle regole che vanno seguite abbastanza alla lettera (poi ci sono anche casi in cui le regole non esistono proprio, ma il risultato di insicurezza finale non cambia); tendenzialmente ci sono due grandi possibili derive: cresco insicuro perché quello che penso/dico/faccio non va mai bene; cresco con la convinzione di essere una sorta di semidio e poi sarà il mondo esterno a bastonarmi pesantemente.  
Questo conduce inevitabilmente a vivere una ferita narcisistica molto forte (io non vado bene così come sono) che spinge alla tentata soluzione paranoica di convincersi in realtà di essere gli unici ad aver capito come deve funzionare il mondo, come si devono vivere le cose della vita, come e quali regole sono “giuste”.         
Questa ferita narcisistica può influenzare profondamente le relazioni con gli altri. Il desiderio di controllo, derivato dalla paura di non essere abbastanza, può portare a soffocare l’autonomia e la libertà dei propri figli, del proprio compagno/a, impedendo loro di crescere, esistere e di esplorare il mondo in modo autentico.          
              Amare veramente significa lasciare andare, significa accettare che l’Altro sia diverso da noi e che abbia il diritto di essere se stesso. Significa abbracciare la vulnerabilità e la complessità delle relazioni umane, accettando che non sempre siamo nella posizione di potere.           
In questo senso, l’amore diventa un’azione attiva che cerca di proteggere l’integrità e l’autonomia dell’Altro, piuttosto che cercare di imporre i nostri desideri e le nostre paure su di loro. Amare è un atto di coraggio, un atto di fiducia nell’essere umano e nelle sue capacità di crescita e di evoluzione.

Per concludere, penso che l’amore sia il motore principale che guida le nostre relazioni e che, se coltivato con consapevolezza e rispetto, può portare a una crescita personale e relazionale senza fine.

Amare, dunque, significa lottare contro la mortificazione dell’Altro, significa riconoscere e rispettare la sua unicità, permettendogli di essere se stesso senza giudizi o condizioni, godendo del privilegio di potergli essere accanto, di poter essere ispirati dalla sua diversità di sguardo.