Spesso mi chiedono se lo stato d’animo o il carattere di una persona dipenda più dalla genetica o dall’ambiente, o anche se un trauma subito può cambiare per sempre la vita di una persona. Rispondere sinteticamente non è cosa semplice, in ogni caso farò un tentativo.
Partiamo da questo schema (ripreso da “Analisi Transazionale e psicoterapia di E. Berne):
Immaginiamo che queste quattro colonne rappresentino la vita di quattro individui diversi. La linea superiore rappresenta il fenomeno osservabile (cioè quello che si pone in figura, ciò che diviene visibile all’occhio esterno).
Il soggetto A risulta in equilibrio e osservando il suo percorso di vita si può approfondire l’evidenza che non abbia avuto difficoltà particolarmente destabilizzanti.
Il soggetto B si mostra non perfettamente equilibrato: nella sua vita vi è stata una difficoltà che lo ha segnato particolarmente e dalla quale non ha saputo ripristinare un nuovo equilibrio.
Il soggetto C si mostra visibilmente disfunzionale. Nell’arco della sua vita si sono ripetuti momenti di difficoltà dello stesso genere, tali da rinforzare ogni volta la “cattiva postura” (esattamente come succede alla spina dorsale se si reitera una posizione scorretta ad esempio alla scrivania) fino a portarlo ad un rischio possibile di cedimento.
Il soggetto D ad uno sguardo superficiale si mostra in equilibrio. Osservando meglio la sua struttura interna, si può vedere come abbia sostenuto varie situazioni di difficoltà di ordine differente da formare un’instabilità intrinseca momentaneamente e fortunatamente compensata.
Facciamo ora degli esempi di vita possibile.
Il soggetto A è un bambino normo dotato che nasce in una famiglia serena ed equilibrata da un punto di vista psicoemotivo. Ogni difficoltà della sua vita viene vissuta in un ambiente capace di contenere e condividere ciò che sente e vive. Può permettersi di sentire ed esprimere sia la gioia che la paura o il dolore: ogni cosa ha la sua dignità e si può esprimere senza censure.
Il soggetto B potrebbe essere un bambino che perde la mamma all’età di circa 5 anni (ovviamente sono solo delle ipotesi di tipologie di eventi difficili). L’evento in sé è fortemente traumatico e genera senso di abbandono.
Ora le ipotesi sono molte, ne osserviamo due in particolare:
- il bambino è normo dotato psicoaffettivamente, ma nasce in un ambiente che non riesce a contenere l’evento in modo equilibrato. Si fa finta di nulla, si piange di nascosto, non si parla più della mamma morta, ci si chiude a livello affettivo…, le figure di riferimento rimaste diventano fredde lasciando il bambino solo nel suo senso di abbandono. Questa esperienza rimane una ferita aperta e non guarita che influisce nel presente dell’adulto che potrà funzionare benissimo in tutte le aree razionali e potrà avere (è solo un’ipotesi) difficoltà ad esempio nelle relazioni intime.
- il bambino è nato con delle fragilità psicoaffettive. Cresce in un ambiente molto equilibrato e capace di contenere l’evento traumatico. Le figure di riferimento riescono a vivere in modo sano ed equilibrato la perdita, l’affettività non viene persa e questo basta ad accompagnare il bambino ad un’età adulta abbastanza funzionante, dove la lieve flessione di funzionamento osservabile è data dalla sua particolare fragilità emozionale (in gergo si potrebbe definire un soggetto con scarsa resilienza).
Il soggetto C risulta visibilmente non equilibrato. Potremmo ipotizzare una storia di questo tipo: non desiderato alla nascita, osteggiato dai fratelli che lo relegano a “pecora nera” della famiglia, bullizzato a scuola, rifiutato nei tentativi di approccio sessuale in adolescenza, rimane single, trova un lavoro frustrante e dopo anni di dedizione subisce un mobbing. (questi alcuni esempi di crisi ripetute nella stessa direzione del sentirsi rifiutato)
La struttura familiare abbiamo già ipotizzato essere poco funzionale e anche se il soggetto avesse una grande resilienza (capacità di tenuta) verrebbe comunque messo a seria prova. Il risultato fenomenologicamente disequilibrato ha un’alta possibilità di verificarsi.
Il soggetto D sembra perfettamente funzionante. È un uomo in carriera, ha una bella famiglia, va d’accordo con tutti, ha molti amici e ottimi rapporti con la famiglia d’origine.
A cinquant’anni la moglie lo lascia per un altro uomo. Inaspettatamente lui “impazzisce”. Manifesta una rabbia incontrollata, litiga con tutti, nel tempo anche la sua azienda arriva a rischio di fallimento per la sua ormai quasi totale distrazione sul lavoro.
Ciò che non si vedeva in superficie era la sua fragilità di fondo. Si potrebbero ipotizzare eventi di questo tipo: un bambino normo dotato che nasce in una famiglia dove il babbo è poco presente e la mamma imposta una relazione di codipendenza. Negli anni impara che deve compiacere per mantenere lo stato dei luoghi e questo lo porta a ingoiare diverse situazioni frustranti di varia natura nel corso di tutta la sua esistenza. Un po’ come se avesse impostato la sua esistenza con un “sarò come tu mi vuoi e questo mi permetterà di essere sempre amato”. Quando il patto salta, salta tutto il resto.
Veniamo ora alle domande utili: Si può “raddrizzare la colonna”? Si! Qualsiasi tipo di trauma e qualsiasi tipo di conseguenza esso abbia lasciato, può essere trattato con buoni risultati. A volte fino alla possibilità di riportarsi in equilibrio costantemente. A volte con qualche difficoltà in più (dipenda da quanto si è strutturata la “scoliosi”). Un buon percorso di psicoterapia è paragonabile a una buona ginnastica posturale per il recupero dell’assetto della spina dorsale. Certo è fondamentale la costanza e l’impegno e quindi una forte motivazione da parte della persona che cerca aiuto.