Accolgo ogni giorno racconti di dinamiche relazionali condite da tristezza, rancore, rabbia, paura. Ascolto con pazienza, empatia, accoglienza. Eppure dopo pochi minuti dentro di me parte come un ticchettio: è il conto alla rovescia della fine della relazione. No, non ho nessuna capacità di chiaroveggenza! Ho solo imparato a riconoscere i segnali inequivocabili del “gioco al massacro”.
In un’era dove l’onnipotenza ha superato la fantascienza, dove l’idea di poter gestire, controllare, prevedere è diventata una certezza, la possibilità di costituire delle relazioni “sane” perde sempre di più terreno.
Specifichiamo: per relazione sana non intendo una relazione in cui non si litiga! Per relazione sana intendo l’incontro di due persone consapevoli del funzionamento soggettivo che nell’incontro con l’Altro tengono libertà e rispetto al centro della costruzione. Relazioni in cui la differenza di pensiero possa suscitare curiosità e non giudizio e svalutazione; relazioni in cui l’accettazione intrinseca del rischio, possa non scatenare dinamiche ti possesso, manipolazione dell’Altro per tenerlo a sé. Relazioni in cui ogni soggetto è consapevole dei confini e della differenza tra desiderio e bisogno. Relazioni che non chiudono bensì aprono alla vita, alla crescita, all’evoluzione di ognuno dei soggetti.
Di questi tempi il tema della “dipendenza affettiva” va decisamente per la maggiore. In ambito psicologico, sociologico, antropologico, coaching, prima o poi ci si imbatte in un articolo sul tema. Più o meno i concetti sono sempre gli stessi e ogni professionista cerca di esprimerlo a modo suo. Con questo libro, Relazioni tossiche (qui puoi acquistarlo su Amazon), più che parlare della dipendenza affettiva, cerco di descrivere alcune delle dinamiche più frequenti che si possono mettere in piedi e che, nel tempo, portano esattamente all’opposto di ciò che si desidera: allontanamento e non avvicinamento. Cercando aiuto anche nella letteratura, provo a descrivere delle modalità precise che conducono alla certezza della rottura.
Non è un testo tecnico e forse potrà risultare anche un pò ripetitivo perché alcuni passaggi li ho ripetuti in modalità leggermente differenti nel desiderio di riuscire a spiegarmi bene. Il linguaggio tecnico è ridotto all’osso: utilizzo i riferimenti alla letteratura di Eric Berne con il suo GAB (Genitore, Adulto, Bambino) perché trovo geniale l’idea che l’essere umano sia un condominio e che ogni volta che pensiamo siamo ad una riunione di condominio con i tipici litigi del caso. Tutto nella nostra testa.
Con questo assunto di base, ogni volta che due persone si incontrano (iniziando un qualsiasi tipo di relazione) in realtà si stanno incontrando 16 persone diverse: ognuno porta in sé un Genitore Normativo Positivo, un Genitore Normativo Negativo, un Genitore Affettivo Positivo, un Genitore Affettivo Negativo, un Adulto, un Bambino Libero, un Bambino Adattato e un Bambino Ribelle = otto persone diverse. Ognuna di queste parti ha differenti motivazioni per esprimersi e diventarne consapevoli può aiutarci a comprendere che tipo di relazione stiamo realmente costruendo. Ad esempio, se mi pongo sempre come Bambino Adattato, non mi stupirò di essere trattato come una persona passiva e senza spirito di iniziativa.
Si, perché non c’è una regola fissa nel comportamento che possiamo decidere di adottare, ma una RESPONSABILITA‘. Cioè, posso decidere di andare nel mondo come Bambino Adattato perché da qualche parte mi fa comodo, l’importante è che ne conosco le derive e le accetto senza poi lamentarmi delle conseguenze dirette. La felicità deriva dallo scegliere consapevolmente come si vuole vivere e dalla possibilità di accettare il fatto che non si può piacere a tutti.
Scrivere questo testo ha risposto al desiderio personale di poter essere utile in questo processo.
Buona lettura