Ansia che passione!

Salve.

Se siete qui, forse è anche perché avete cercato in rete la parola “ansia” o spiegazioni in merito a questo stato. Iniziamo a dare una connotazione semplice. Chiedendo al dizionario, la risposta è:

  1. affannosa agitazione interiore provocata da bramosia o da incertezza.
  2. in psichiatria, senso di apprensione simile all’angoscia.

Ora proviamo ad addentrarci un poco più in profondità.

Cosa si intende per “bramosia”?

La bramosia è un “ardente desiderio di qualcosa (godimento, vendetta, ricchezza, riconoscimento, etc.)

Secondo l’Enneagramma di C. Naranjo alcuni tipi di carattere provano spesso un senso di bramosia, di melanconia o di invidia per ciò che manca. Questo li condanna alla visione del “bicchiere sempre mezzo vuoto”, alla personale gabbia del perennemente incompleto, per la quale non ci si può mai sentire a posto, sicuri, appagati. In estrema sintesi, non vi è la capacità di godere per ciò che è, di sentirsi grati per ciò che si vive.

Questa è sicuramente una delle prime osservazioni che si possono fare sull’Ansia.

Se è la bramosia che mi spinge, è molto probabile che non riuscirò mai a raggiungere uno stato di benessere interno, semplicemente perché la méta che mi sono posto è irraggiungibile. In questa descrizione rientrano tutti i tipi di ansia da prestazione e ansia sociale (un’eccessiva preoccupazione del giudizio altrui).

Qui si può mettere nel cassetto il primo strumento da utilizzare:

  • Posso accettare di essere “imperfetto” e di sentire che vado benissimo così come sono. Tra Peter Parker e L’uomo ragno non c’è differenza.

Cosa si intende per incertezza?

  1. mancanza di esattezza, chiarezza, stabilità.
  2. limitazione all’efficienza del comportamento, provocata da condizioni di dubbio o d’indecisione.

In tutti i passaggi di questa definizione possiamo estrapolare due oggetti: un esubero di emozionalità che conduce al calo di lucidità cognitiva e il dubbio.

Qui si deve necessariamente spendere qualche parola in più.

L’eccessiva preoccupazione del giudizio-riconoscimento da parte del mondo esterno (principalmente delle figure a me particolarmente care) di cui abbiamo appena parlato, produce il meccanismo paradossale di renderci meno performanti.

Nel momento in cui metto al centro della mia attenzione il desiderio (bramosia) di essere apprezzato-amato, circa l’80% della mia energia si disperde in pensieri del tipo “il vestito mi starà bene?”, “speriamo che nelle slide della presentazione non ci siano errori”, “devo superare la dialettica del collega che mi ha preceduto, altrimenti mi soffia il posto”, etc.

Mentre formulo (inconsapevolmente) questi pensieri, l’attenzione realmente necessaria a quanto devo fare si diluisce. Viene come resa fumosa da tutti gli altri pensieri e questo renderà la mia esposizione oggettivamente peggiore di quanto avrei potuto.

Alla base di un tale processo vi è spesso una serie di convinzioni illogiche: “io non vado bene e devo sforzarmi al massimo per sperare di avere un posto nella vita”,

“io sono il migliore, ma nessuno mi capisce, è tutto inutile”.

Le motivazioni per le quali si siano insediate in noi tali convinzioni illogiche sono oggetto di un percorso di indagine e ristrutturazione durante una psicoterapia, in ogni caso proveremo anche qui a fornire un rudimentale strumento:

  • Nessuno è venuto al mondo per rispondere alle aspettative di qualcun altro. Chi mi ama, lo farà per sempre qualsiasi cosa io possa fare. Chi non mi ama, non mi amerà mai, qualsiasi cosa io possa fare: quindi tanto vale che io faccia solo ciò che sento e desidero più profondamente.

Veniamo al dubbio.

L’enciclopedia Treccani lo definisce come uno “stato soggettivo d’incertezza, da cui risulta un’incapacità di scelte, essendo gli elementi oggettivi considerati insufficienti a determinarle in un senso piuttosto che in quello opposto.”

Da questa definizione si può facilmente capire che la chiave di volta è nella domanda. Se gli “elementi oggettivi sono insufficienti” è normale non sapere quale sia la risposta esatta!

Qui ci si dovrebbe addentrare nel campo delle euristiche; non essendo possibile mi limiterò a fare un semplicissimo esempio utilizzando un’inferenza (rilevazione parziale).

Poniamo di incontrare un amico e collega professore universitario per la strada con dei pacchi in mano. È un giorno feriale e sono le 11.00 del mattino. Io sono in giro perché è il mio giorno libero.

Questi sono gli unici dati certi e oggettivi in mio possesso.

Evento: ci incrociamo sul marciapiedi, lo saluto e non mi risponde.

Quali sono le inferenze che posso fare? Intendo, quelle basate sui dati oggettivi reali.

  • Il mio amico oggi alle 11.00 non è all’ Università.
  • Il mio amico non mi ha salutato.
  • Il mio amico non sta guidando l’auto.
  • … e mille altre che in questo contesto risulterebbero solo dispersive.

Posso sapere perché non mi ha salutato?

No.

A meno che io non glielo chieda e decida di credere a quanto mi risponderà!

È lecito avere il dubbio che non mi abbia salutato perché non voleva far sapere che non era sul luogo di lavoro?

No.

Ci sono serie numerose di ipotesi, ma nessuna certezza: pochi elementi.

Un altro esempio può essere la scelta tra due contratti di lavoro:

  • Milano, € 000 mensili, 48 ore settimanali, azienda leader con circa 300 dipendenti età media 50. Contratto a tempo indeterminato.
  • Catania, €000 mensili, 40 ore settimanali, azienda giovane con 20 dipendenti età media 35. Contratto a tempo indeterminato.

Posso sapere qual è la scelta migliore?

No.

Posso solo fare tutte le valutazioni degli aspetti oggettivi in base alle mie proprie categorie di importanza per cercare di immaginare in quale condizione mi potrei trovare bene.

L’unica cosa che mi rimarrà da fare è agire. L’unica arma in mio possesso: poter cambiare strada se mi dovessi rendere conto che non mi piace.

Si può sempre cambiare idea!

Avere dubbi è naturale, il problema è quando ci facciamo bloccare da essi.

Il dubbio patologico è una forma specifica. È caratterizzato dalla presenza di domande alle quali la persona cerca di dare risposte, senza però trovarne mai una definitiva.

In questi casi il problema è nella domanda: si tratta di domande che non ammettono mai una risposta unica, ma solo risposte possibili che apriranno la strada inevitabilmente ad altre domande.

Le domande possono riguardare qualunque argomento: “come parlo?” “come guardo?” “avrò fatto bene a toccare quella cosa?” “sono omosessuale? Sono pazzo? Rischio di diventarlo?”, etc.

Non tutto nella vita si può risolvere razionalmente: la ricerca spasmodica di una risposta razionale ad una domanda irrazionale si può solo trasformare in una rimuginazione continua e infinita che produce un senso di ansia incontenibile.

Le sensazioni sono legate soprattutto all’ansia o alla paura di non essere mai all’altezza del lavoro, della scuola, delle relazioni, della vita in genere. Tutto viene vissuto allora come un grande peso e può essere presente uno stato di insoddisfazione che può anche essere confuso con sintomi depressivi, tanto da portare il medico a prescrivere farmaci antidepressivi.

Anche in questo caso sarà necessario un intervento di psicoterapia (a volte anche abbastanza breve), in ogni caso tenteremo di aggiungere un altro strumento:

  • Quando mi accorgo di aver posto una domanda irrazionale, devo ricordare che non ha una risposta univoca!
  • Di fronte a qualsiasi domanda che genera un dubbio, posso ricordarmi di avere sempre la possibilità di cambiare.

 

 

 

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